Come usare il gabinetto dopo un intervento di protesi all’anca

Introduzione

Dopo aver sottoposto il corpo a un intervento di protesi all’anca o al ginocchio, può essere difficile affrontare alcune attività quotidiane, come andare in bagno e utilizzare il gabinetto. Tuttavia, ci sono alcuni accorgimenti che è possibile adottare per rendere questo processo più agevole e sicuro. In questo articolo, scopriremo come sedersi e alzarsi dal gabinetto in modo corretto dopo un intervento di protesi.

Preparazione e supporto

Prima di esplorare le tecniche corrette per sedersi e alzarsi dal gabinetto, è importante assicurarsi di avere un ambiente sicuro e supporti adeguati. Un buon porta-asciugamani o degli appoggi stabili vicino al gabinetto possono essere di grande aiuto in questa fase. Inoltre, verificare se la casa dispone di sedie con braccioli, che possono facilitare il processo di seduta e alzata.

Sedersi sul gabinetto

Il metodo per sedersi sul gabinetto dopo un intervento di protesi è simile a quello utilizzato per sedersi su una sedia. Seguire attentamente questi passaggi:

  1. Portare avanti la gamba operata: Quando ci si prepara a sedersi, assicurarsi di spostare la gamba operata in avanti, mentre la gamba sana viene piegata per facilitare la seduta. Questo evita di sovraccaricare l’articolazione operata e offre supporto alla stessa.
  2. Piegarsi con cautela: Piegatevi in modo controllato verso il gabinetto, assicurandovi di mantenere la schiena dritta per ridurre lo stress sulla protesi.
  3. Utilizzare un appoggio se necessario: Se il vostro gabinetto è molto basso o avete una corporatura alta, potrebbe essere utile utilizzare un alza-water, una struttura in plastica che solleva la seduta del gabinetto. Questo riduce la pressione sulle articolazioni durante la seduta e l’alzata.

Alzarsi dal gabinetto

Per alzarsi dal gabinetto dopo un intervento di protesi, seguire questi suggerimenti:

  1. Portare avanti la gamba operata: Come fatto precedentemente, spingere la gamba operata in avanti mentre ci si prepara ad alzarsi. Utilizzare la gamba sana come supporto durante il movimento.
  2. Spingere con cautela: Spingere con forza sulla gamba sana per alzarsi dal gabinetto in modo controllato e sicuro.

Ulteriori risorse

Ricordate che un recupero efficace dopo un intervento di protesi richiede tempo, pazienza e corretta pratica. Per ottenere ulteriori consigli e istruzioni dettagliate, potete fare riferimento al canale YouTube Chirurgiarticolare dell’autore di questo articolo, dove troverete tutorial, esercizi e informazioni utili sul recupero post-operatorio.

Conclusione

In conclusione, imparare a utilizzare correttamente il gabinetto dopo un intervento di protesi può contribuire a rendere il processo di andare in bagno più sicuro e confortevole. Ricordate di adottare accorgimenti come portare avanti la gamba operata, utilizzare supporti adeguati e, se necessario, ricorrere a dispositivi di sollevamento come l’alza-water. Non esitate a consultare risorse aggiuntive, come il canale YouTube consigliato, per ulteriori indicazioni e istruzioni dettagliate. Mantenete sempre la sicurezza al primo posto durante il vostro percorso di recupero post-operatorio.

Quanto tempo e come utilizzare le stampelle dopo un intervento di protesi

Quanto tempo e come utilizzare le stampelle dopo un intervento di protesi

L’utilizzo delle stampelle dopo un intervento di protesi

Dopo aver completato l’intervento di protesi, è necessario decidere per quanto tempo si dovranno utilizzare le stampelle. In generale, il periodo consigliato è di 4-6 settimane, a seconda delle circostanze specifiche.

 

 

Motivi per l’utilizzo delle stampelle

Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, le stampelle non vengono utilizzate principalmente perché la protesi non è in grado di sostenere immediatamente il peso del corpo. Infatti, già il giorno stesso dell’intervento, vi verrà chiesto di camminare per testare la solidità della protesi. Il motivo principale per l’utilizzo delle stampelle è la necessità di proteggere i tessuti circostanti.

Riduzione del carico e prevenzione dell’infiammazione

L’utilizzo delle stampelle riduce il carico di lavoro sulle articolazioni appena operate, prevenendo così l’infiammazione dei tessuti circostanti. Questo è particolarmente importante dopo un intervento di protesi, in cui i tessuti potrebbero essere sensibili e richiedere un periodo di guarigione adeguato.

Mantenere l’equilibrio e prevenire le cadute

Dopo un intervento di protesi, può essere difficile mantenere l’equilibrio e c’è un rischio aumentato di cadute, soprattutto se si è stati limitati nei movimenti a causa dell’artrosi. Le stampelle forniscono un supporto stabile e aiutano a prevenire cadute indesiderate, riducendo così il rischio di danni all’articolazione appena impiantata.

Progressivamente abbandonare le stampelle

Di solito, dopo circa tre-quattro settimane, una delle due stampelle può essere abbandonata. È importante notare che la stampella da abbandonare è quella del lato opposto a quello operato. Ad esempio, se è stata eseguita una protesi all’anca destra, la stampella sinistra sarà mantenuta per fornire un maggiore supporto all’articolazione operata. Successivamente, si può passare all’utilizzo di una sola stampella e, con il tempo, abbandonarla del tutto.

Uso delle stampelle in situazioni specifiche

Anche quando si cammina senza stampelle, potrebbe essere utile conservarne una per determinate situazioni. Ad esempio, se si affronta un terreno irregolare o si visita un ambiente affollato, la stampella può offrire un ulteriore sostegno e servire da segnale per gli altri, indicando che si è in fase di convalescenza dopo un intervento.

Tempi di recupero variabili

È importante comprendere che i tempi di recupero senza alcun ausilio, come le stampelle, possono variare considerevolmente da persona a persona. Fattori come la durata dell’immobilità pre-operatoria, l’età del paziente, lo stato dell’articolazione e i procedimenti aggiuntivi eseguiti durante l’intervento possono influire sulla capacità di camminare senza assistenza. È sempre meglio seguire le indicazioni del medico e del fisioterapista per un recupero sicuro ed efficace.

L’importanza dell’uso corretto delle stampelle

Infine, è fondamentale utilizzare le stampelle correttamente per massimizzare i benefici e garantire la sicurezza durante la riabilitazione. Un video dedicato illustra le modalità corrette di utilizzo delle stampelle nelle prime fasi del recupero dopo un intervento.

Conclusione:

Le stampelle sono un supporto indispensabile per l’arto inferiore dopo un intervento di protesi. Consentono di alleggerire il carico di peso sull’articolazione, prevenire l’infiammazione dei tessuti circostanti e mantenere l’equilibrio durante la deambulazione. Seguire le indicazioni del medico e del fisioterapista è fondamentale per determinare per quanto tempo utilizzare le stampelle e per imparare a utilizzarle correttamente. Gradualmente, si potrà abbandonare l’uso delle stampelle e riprendere le normali attività quotidiane, garantendo una corretta guarigione e un recupero ottimale.

Intervento di protesi di anca: movimenti da evitare sempre

Intervento di protesi d’anca: movimenti da evitare per una pronta guarigione

Introduzione

L’intervento di protesi d’anca è una procedura medica comune che può migliorare significativamente la qualità della vita delle persone affette da problemi articolari. Tuttavia, è importante prestare attenzione a certi movimenti durante il periodo post-operatorio per evitare complicanze come la lussazione. In questo post, esploreremo i movimenti da evitare e forniremo consigli per una pronta guarigione dopo l’intervento di protesi d’anca.

Movimenti da evitare per prevenire la lussazione

Dopo l’intervento di protesi d’anca, alcune posizioni e movimenti possono aumentare il rischio di lussazione. È fondamentale evitare di raggiungere il piede passando dall’esterno del ginocchio. Questo movimento può mettere la protesi in una posizione pericolosa. Ad esempio, quando si tagliano le unghie dei piedi, è importante raggiungere il piede passando dall’interno del ginocchio per mantenere la protesi stabile.

Prendere oggetti da terra

Quando si prendono oggetti da terra, evitate di piegare eccessivamente in avanti il tronco. Questo potrebbe mettere a rischio l’articolazione dell’anca. Invece, provate a portare indietro la gamba operata e prendere l’oggetto con la mano. Questo ridurrà l’angolo di movimento dell’anca, minimizzando il rischio di lussazione.

Sport a basso impatto

Dopo l’intervento di protesi d’anca, è importante prendersi cura durante la pratica di attività sportive. Mentre gli sport a basso impatto possono essere adatti, è consigliabile evitare quelli che comportano rischi maggiori quando si è soli. Ad esempio, lo windsurf o l’arrampicata in solitaria possono essere pericolosi in caso di incidente o lussazione, poiché potrebbe essere difficile ottenere assistenza immediata.

Prevenzione e attenzione quotidiana

Nonostante il rischio di lussazione sia relativamente basso, è importante prestare attenzione ai movimenti nella vita quotidiana. Evitate di compiere azioni che potrebbero esporre la protesi a un rischio di lussazione quando siete soli e senza l’assistenza di qualcuno.

Conclusione

L’intervento di protesi d’anca è una procedura sicura che può migliorare notevolmente la mobilità e la qualità della vita. Evitando alcuni movimenti specifici, come raggiungere il piede dall’esterno del ginocchio e piegarsi eccessivamente in avanti per prendere oggetti da terra, si può ridurre significativamente il rischio di lussazione. Inoltre, nell’attività fisica post-operatoria, è importante scegliere sport a basso impatto e assicurarsi di essere accompagnati da qualcuno quando si pratica in situazioni potenzialmente rischiose. Seguendo queste precauzioni, è possibile godere di una pronta guarigione e tornare a un’attiva e gratificante vita quotidiana dopo l’intervento di protesi d’anca.

Nota: Per ulteriori informazioni e consulenze mediche, vi invitiamo a visitare il nostro canale YouTube, il nostro sito internet e i nostri canali social.

 

Riprendere a camminare dopo una protesi all’anca

Quando ci si prepara per un intervento di protesi di anca molte sono le domande che il paziente si pone. Una tra tutte è la più comune: quando potrò riprendere a camminare dopo l’intervento? Il cammino è ciò che ci rende liberi e indipendenti, è una delle motivazioni fondamentali all’intervento per chi decide di operarsi. Ebbene la risposta è semplice: in un centro fast track il paziente che si opera di protesi all’anca non smette mai di camminare. Vediamo perché.

riprendere camminare dopo protesi anca

Riprendere a camminare dopo protesi anca: la pre-abilitazione

Uno degli aspetti fondamentali di chi soffre di un’artrosi all’anca è non lasciare che la malattia possa ridurre drasticamente la funzione articolare. Sembra un controsenso, ma il paziente è il primo artefice nell’ostacolare le conseguenze della malattia artrosica. Chi sa di soffrire di artrosi deve cominciare precocemente la sua battaglia contro la rigidità. L’artrosi infatti, a causa dell’infiammazione e della formazione di osteofiti, tende a ridurre giorno per giorno l’elasticità del movimento.

Allungare i tessuti con lo stretching e rinforzare la muscolatura

I tessuti però possono essere allungati con lo stretching. Con la stessa motivazione di un atleta il paziente può continuare a mantenere l’elasticità dei tessuti con esercizi di allungamento in palestra o a casa. Se il movimento è preservato, la ripresa delle attività e il ritorno al cammino saranno molto facilitate. La serie di esercizi per mantenere l’elasticità si affiancano agli esercizi per la forza. Sulla forza bisogna essere più attenti, perché gli esercizi di rinforzo possono infiammare l’articolazione rendendo vano lo sforzo. Generalmente gli esercizi in acqua, il nuoto e la bicicletta sono le attività ideali per rinforzare i muscoli e tornare a camminare dopo una protesi con maggiore facilità. Non dimentichiamoci poi degli altri muscoli. Quanto spesso trascuriamo il rinforzo dei muscoli addominali e dei muscoli posturali. Un core forte è la base per costruire il resto del movimento. Alzarsi dal letto e riprendere a camminare bene dopo una protesi all’anca sarà molto più facile se la parte centrale del corpo è tonica.

Riprendere a camminare dopo protesi anca: le tecniche chirurgiche

Non è il paziente da solo che è responsabile della ripresa del cammino dopo una protesi di anca. Anche le tecniche chirurgiche sono fondamentali. Da molti anni abbiamo applicato nel nostro reparto i principi del Fast Track, che prevedono di non fermare mai il cammino del paziente. Si tratta di mettere in piedi e far riprendere a camminare il paziente dopo una protesi di anca il giorno stesso dell’intervento. In realtà questo obiettivo fondamentale nel recupero del paziente è solo la conseguenza di una serie innumerevole di cambiamenti che abbiamo apportato alle tecniche chirurgiche. Mini invasività, ridotte perdite di sangue, interventi brevi – questi sono i cardini del recupero rapido e del cammino immediato per il paziente.

Riprendere a camminare dopo protesi anca: le attenzioni mediche

Non solo la chirurgia influenza il risultato. Anche la gestione medica è fondamentale. Per riprendere a camminare bisogna avere un ottimo compenso della funzione generale. Con l’attenzione alla preparazione medica del paziente si può:

  • controllare l’anemia pre-operatoria;
  • evitare le flebo e i cateteri, che sono di impaccio alla ripresa del cammino;
  • evitare le ipotensioni nell’alzarsi in piedi, che possono causare giramenti di testa e cadute al paziente.

Riprendere a camminare bene dopo protesi di anca: i materiali protesici

Anche la qualità della protesi impiantata è fondamentale nella ripresa del paziente. Le protesi moderne infatti hanno una stabilità primaria incredibile fin dal primo momento. Le stampe tridimensionali dell’impianto consentono di ottenere delle protesi che si imparentano da subito con l’osso e sono talmente stabili da consentire un carico completo di tutto il peso corporeo senza rischi. Anche in una categoria di persone come i pazienti con grave osteoporosi, le moderne tecniche di cementazione consentono di raggiungere una enorme stabilità dell’impianto. Tradotto in pratica la protesi moderna consente di essere caricata con il 100% del peso corporeo da subito, permettendo di riprendere a camminare dopo l’intervento di protesi d’anca senza dover aspettare.

Riprendere a camminare dopo protesi di anca: il ruolo chiave del cammino nella riabilitazione

Il cammino dopo una protesi d’anca è terapeutico. Il più delle volte l’unica riabilitazione che chiediamo al paziente è camminare. Nel cammino il paziente esercita i muscoli e ritorna prima a stare bene. Il consiglio iniziale è questo: poco tempo in piedi più volte al giorno è la chiave del successo. Tanto più ci si sente in forza, tanto più si aumenta il numero delle volte che si cammina. Il consigli è quello di fare inizialmente 10-15 minuti di cammino 4-5 volte al giorno, intervallando l’esercizio con il riposo magari mantenendo la gamba elevata. Questa è la migliore terapia per riprendere a camminare dopo protesi d’anca.

In conclusione

Riprendere a camminare dopo una protesi d’anca significa non smettere mai di farlo, aiutati dalla tecnica chirurgica, dalla terapia medica e dalla qualità della protesi impiantata. Un percorso possibile per tutti se si parte con il piede giusto.

Borsite trocanterica o borsite all’anca: come si origina e come va trattata

L’anca è una delle articolazioni più importanti del corpo umano. Che si cammini, si corra o semplicemente ci si alzi da una sedia, quando c’è qualcosa che non va ci se ne accorge facilmente. Il dolore al fianco può essere estremamente invalidante e impedire le normali attività quotidiane. Molto spesso però questo dolore non è pericoloso e dipende da una patologia che prende il nome di borsite. Nel prosieguo di questo articolo andremo dunque a capire come si origina e come curarla. Una piccola precisazione prima di procedere con la lettura: i termini borsite all’anca e borsite trocanterica sono sinonimi e quindi del tutto equivalenti.

Borsite all’anca di cosa si tratta

borsite-trocanterica

Cosa sono le borse sinoviali?

Le borse sinoviali (dette anche borse sierose o borse mucose) sono delle strutture sierose,  sacche contenenti siero che hanno lo scopo di far scorrere tra loro fasce tendinee e ossa. In altre parole le borse sinoviali sono disposte in punti strategici del corpo umano per bloccare o ridurre lo sfregamento, l’attrito e gli urti che coinvolgono ossa, tendini, legamenti e tessuti.

Le borse sinoviali sono dunque degli ammortizzatori collocati in tutti quei punti in cui ci sono delle frizioni tra strutture diverse. Strutture afferenti a più tessuti che convivono in prossimità proprio grazie alla presenza ammortizzante di una borsa sierosa. Tutto funziona a meraviglia fino a quando la borsa non si infiamma.

La frizione a livello dell’anca che genera dolore

A livello dell’anca la maggiore frizione si ha tra l’osso detto trocantere e la borsa che fa scivolare la fascia lata, la fascia profonda della coscia su questo osso. Si parla in questo caso di borsite trocanterica o borsite all’anca.

La diagnosi della borsite

Borsite trocanterica quali sono le cause

Ad oggi non si conoscono precisamente le cause che condizionano la comparsa della borsite trocanterica. Spesso le cause della borsite anca possono essere multifattoriali. L’incidenza maggiore in genere si ha nelle donne di età compresa tra i 45 ed i 65 anni, in quanto per conformazione del bacino hanno un maggior attrito tra fascia lata e trocantere. Altre volte è semplicemente lo sport come la corsa prolungata o il ciclismo. Inoltre, molto spesso può essere un trauma l’origine di tutto il problema.

Borsite all’anca quali sono i sintomi

I sintomi della borsite trocanterica includono generici dolori articolari e acuita sensibilità al dolore. Spesso la borsite all’anca produce gonfiore e vampate di calore a ridosso della zona interessata. Il sintomo principale della borsite trocanterica è il dolore nella zona dell’inguine e del gluteo, che inizialmente si manifesta di solito in modo intenso e specificatamente topico. Tuttavia, se non curato, il dolore può estendersi oltre l’area propria dell’anca, allargarsi all’intera coscia ed arrivare fino al ginocchio. In sintesi, i sintomi della borsite all’anca possono essere descritti come segue:

  • Dolore al fianco.
  • Può iniziare molto acuto, poi diventa un dolore diffuso che si può irradiare a tutta la coscia.
  • Peggiora dormendo sul fianco, talvolta non si riesce proprio a dormire su quel lato.
  • Spesso nelle attività si scioglie un po’ e diminuisce, mentre a riposo o nei primi movimenti è più intenso.

La terapia per la borsite all’anca

Borsite trocanterica come va trattata

Dopo che la diagnosi è stata fatta con la visita, e sono state eventualmente escluse con approfondimenti altre cause che possano aver determinato il problema, si passa alla terapia. La prima fase è sempre non chirurgica. Si tratta di cercare di ridurre l’infiammazione modificando i comportamenti, usando molto stretching prima delle attività. Se le precauzioni non bastano si può passare a infiltrazioni. La cosa più utile è l’infiltrazione ecoguidata che riesce a instillare direttamente nella borsa un cortisonico che agisce da antinfiammatorio. Generalmente con 1 o massimo 2 punture si risolve il problema per molto tempo. Diventa poi fondamentale avere precauzioni per evitare che ritorni il problema mediante esercizi che si imparano in fisioterapia.

La protesi d’anca mini invasiva a Firenze

Il mondo cambia, le tecniche si evolvono anche la terminologia cambia. Il concetto di protesi d’anca mini invasiva viene superato dalla logica più ampia del fast track, ma ancora oggi nel comune sentito la mini invasività fa da padrona.
Vediamo allora di capire il significato di tale procedura.

La protesi di anca mini invasiva: la storia

L’attenzione verso la minore invasività dell’intervento chirurgico nasce negli anni ’90, quando lo sviluppo delle tecniche e degli strumentari si rivolge in modo preponderante alla diminuzione dell’impatto della chirurgia sui tessuti. Si pensava infatti che la sola riduzione della dimensione della ferita fosse la chiave per riuscire ad accorciare il tempo di recupero dei nostri pazienti.

Considerato che gli anni ’80 erano stati all’insegna del “grande taglio, grande chirurgo”, sicuramente la nuova tendenza alla minore invasività dell’intervento è stata molto positiva, sia per il minor impatto sul paziente, sia per una maggiore attenzione alla modifica degli strumentari per l’esecuzione dell’intervento.
Ricordo benissimo che, nel 2004, all’inizio della mia scuola di specializzazione in Ortopedia, i chirurghi si misuravano tra loro con i centimetri dell’incisione chirurgica eseguita: eri tanto più bravo quanto più piccolo era il taglio eseguito.

I problemi della tecnica mini invasiva nella protesi di anca

Se da un lato era certamente encomiabile il tentativo di ridurre l’invasività delle vie di accesso chirurgiche, dall’altro si verificavano dei paradossi. La riduzione esasperata della via d’accesso portò a molti casi di mal posizionamento dell’impianto legato alla bassa visibilità dovuta alla piccola incisione.

Il secondo paradosso era legato al fatto che, per riuscire a lavorare attraverso un’incisione piccolissima, negli strati più profondi dell’articolazione era necessario rilasciare muscoli e tendini in maniera molto più estesa per ottenere una visualizzazione sufficiente. Ai congressi dunque si cominciavano a vedere i danni degli eccessi di mini invasività.

I vantaggi della tecnica mini invasiva nella protesi d’anca

Il vantaggio più grosso della ricerca mini invasiva nella protesi d’anca è stato che negli anni si è capito cosa conveniva risparmiare e cosa non era utile risparmiare. Senza l’esasperazione degli anni ’90-2000 sarebbe stato impossibile arrivare al concetto moderno di mini invasività.
Nell’anca, per esempio, si è capito che era inutile ridurre eccessivamente l’ incisione cutanea, mentre, negli strati profondi, il rispetto dei muscoli e dei tendini era molto più importante.
Nell’approccio chirurgico, inoltre, mantenere il più possibile integra la capsula e i legamenti consentiva una migliore stabilità dell’impianto.

Lo stato dell’arte: dalla protesi d’anca mini invasiva al protocollo di recupero rapido “fast track” o “rapid recovery”

Fatto tesoro degli errori del passato e capiti i vantaggi della mini invasività profonda sui tessuti, un altro grande passo avanti è stato fatto dal 2007 in avanti adottando nella chirurgia i principi del recupero rapido.

Di fatto, siamo stati pionieri in Italia di questi concetti per opera del dottor Andrea Baldini che ha importato le tecniche nord europee e americane nel nostro paese, a Firenze, nella casa di cura IFCA di Villa Ulivella. Sono orgoglioso di aver fatto parte fin dall’inizio di tutto questo percorso che ci ha portato grandi risultati.

Il principio alla base è: oltre alla tecnica mini invasiva della protesi d’anca è fondamentale prendersi cura della persona a 360° dal punto di vista medico. Bisogna preparare i pazienti alla chirurgia dal punto di vista medico, dal punto di vista dell’informazione medica, dal punto di vista della riabilitazione.

La vera protesi d’anca mini invasiva moderna in 4 concetti chiave

Vorrei riassumere in un paragrafo la nostra ricetta di mini invasività nel 2021. Per farlo userei quattro concetti chiave:

  1. la tecnica chirurgica a impatto minimo,
  2. la riduzione delle perdite di sangue,
  3. la possibilità di rimettersi subito in piedi per camminare,
  4. il ruolo attivo del paziente informato nel recupero.

Tecnica chirurgica a impatto minimo: la vera protesi d’anca mini invasiva

Impatto minimo significa: incisione lunga quanto basta. Ogni paziente ha la sua dimensione. La signora Anna di 56 kg da sempre magra e non molto alta di sicuro non necessita di più di 6-7 cm di incisione, mentre Mario di 98kg alto 1 metro e 90 con grandi muscoli e con un po’ di peso acquisito negli ultimi anni può avere la necessità anche di 12-14 cm per consentire al chirurgo di lavorare con sicurezza. L’importante, sia nel caso di Anna che di Mario, sarà che il chirurgo non danneggi il muscolo quadrato, ricostruisca perfettamente la capsula e i rotatori, e non violi la capsula anteriore. In entrambi i casi, sia nei 6 cm di incisione sia nei 14 cm, si sarà trattato di una protesi d’anca mini invasiva o, come ci piace chiamarlo, di un intervento chirurgico a impatto minimo.

Riduzione delle perdite di sangue durante e dopo l’intervento

Il principale fattore di rallentamento nel recupero della protesi di anca è costituito dagli ematomi. Ridurre gli ematomi post chirurgici significa rendere rapido il recupero post operatorio.

Nell’anca non è sempre facile, ma si possono cambiare almeno 5 gesti nella gestione dell’intervento per minimizzare il rischio:

  1. fare emostasi accurata
  2. usare l’acido tranexamico
  3. mantenere un buon controllo pressorio durante e dopo l’intervento
  4. minimizzare il dolore (il dolore fa sanguinare di più il paziente)
  5. usare la crioterapia avanzata.

A Villa Ulivella IFCA di Firenze abbiamo realizzato un protocollo che permette di raggiungere tutto questo e da anni il nostro tasso di trasfusione negli interventi di protesi d’anca è lo 0%.

Subito in piedi per camminare: la vera protesi d’anca mini invasiva

reparto protesi anca mini invasiva

Il paziente allettato, specialmente se anziano, perde velocemente massa muscolare. Mettere a letto per giorni il paziente come si è fatto e si fa tuttora in molti ospedali nel mondo è la prima causa di malattia dopo l’intervento di protesi d’anca. Non soltanto perché si aumenta il rischio di pericolose trombosi (oggi con l’eparina il rischio è quasi scongiurato), ma soprattutto perché perdiamo massa muscolare fondamentale per rendere da subito autonomi i nostri pazienti nel vestirsi, lavarsi, camminare.

Con la moderna mini invasività, il giorno stesso dell’intervento il paziente potrà rendersi conto di aver finalmente abbandonato il dolore che lo affliggeva nel passato e di poter fare da subito affidamento sulla sua nuova protesi.

Il ruolo attivo del paziente informato

Ultimo punto, ma non meno importante: l’informazione al paziente.

Abbiamo creato un’applicazione per poter spiegare tutto quello che avverrà al paziente. Passo per passo il paziente stesso sarà parte attiva del suo recupero. Meglio ancora se affiancato da un familiare che avrà il ruolo di “coach” nel percorso post operatorio.

Il sito internet ancora diventa un deposito fondamentale di informazioni per il paziente. Le lezioni collettive sono state un momento importante e torneranno ad esserlo in futuro.

Conclusioni: la protesi d’anca mini invasiva diventa “fast track”

In conclusione, la mini invasività dell’intervento in chiave moderna diventa un concetto molto più allargato, che prevede certamente un lavoro nella chirurgia eseguito rispettando i tessuti, ma acquista davvero un senso se affiancato ad un corollario ben strutturato di gestione medica. L’obiettivo di quest’ultima sarà ridurre l’impatto per il paziente in modo da consentire un rapido ritorno alla normalità dopo l’intervento.

Sono a disposizione e felice di affrontare questo argomento con tutti i miei pazienti durante la visita medica e con chiunque voglia approfondire questi aspetti.

 

I miei maestri: Andrea Baldini Ortopedico a Firenze

Nel mio percorso di crescita come chirurgo ortopedico sono arrivato a Firenze nel 2009. La spinta per me fu quella di aprire i miei orizzonti verso la chirurgia protesica delle grandi articolazioni dopo la mia bellissima esperienza di New York. In quel luogo, culla della chirurgia protesica moderna, il dottor Andrea Baldini aveva avuto il cuore della sua formazione chirurgica. Ma vediamo nel dettaglio il percorso che mi ha reso l’ortopedico che sono ora.

Il primo incontro con il dottor Andrea Baldini ortopedico a Firenze

Il primo incontro con il dottor Andrea Baldini in Toscana avvenne perché da ortopedico alle prime armi per riuscire a operare i miei primi pazienti mi spostavo ovunque ne trovassi la possibilità. Quel giorno ebbi modo di discutere con lui, che lavorava nella sala di fianco alla mia, di un caso che avrei operato dopo pochi minuti.

Il suo aiuto fu illuminante, tanto che gli chiesi come fare per andare negli Stati Uniti, nello stesso luogo dove si era formato lui stesso, ad apprendere tutti gli aggiornamenti più moderni in chirurgia protesica.

La borsa di Studio per l’Hospital for Special Surgery di New York

L’ispirazione fu tale che l’anno successivo vinsi una borsa di studio per andare negli USA. Un’esperienza coinvolgente da cui tornai pieno di iniziativa e di volontà per imparare ad esercitare al meglio la mia professione. Di fronte alla scelta, dopo la specializzazione, non ebbi dubbio: una posizione era libera con il dottor Andrea Baldini come ortopedico a Firenze e decisi immediatamente di iniziare questa avventura.

I primi anni a Firenze come chirurgo ortopedico

Appena dopo la specializzazione nel Gennaio 2009, mi sono dunque trasferito a Firenze dopo aver ricevuto l’invito ad entrare a fare parte del gruppo di Chirurgia Articolare Ricostruttiva diretto dal dottor Andrea Baldini, Specialista in chirurgia protesica di Anca e Ginocchio. Di fatto io provenivo da una formazione centrata pressoché completamente sulla Chirurgia della Spalla e la mia conoscenza sulle protesi di anca e sulle protesi di ginocchio era veramente limitata alla sola formazione di base conseguita durante la scuola di specializzazione a Milano.

Con il dottor Andrea Baldini la chirurgia protesica era differente

Da subito mi resi conto che la qualità della chirurgia protesica viaggiava a Firenze su un altro pianeta. Il dottor Andrea Baldini, già nel 2009, seguiva le più moderne tecniche chirurgiche di protesi al ginocchio e protesi all’anca.

Una grande attenzione al rispetto dei tessuti, l’uso di impianti protesici di prima qualità e all’avanguardia, una minuziosa tecnica ricostruttiva dell’articolazione. Già allora il paziente era al centro di tutto: in epoca in cui pochi ne parlavano e soprattutto all’estero, tutti i pazienti operati partecipavano ad una lezione preparatoria prima dell’intervento.

Il mio apprendimento come allievo del dottor Andrea Baldini

Con il dottor Andrea Baldini mi è stato possibile continuare la mia crescita come ortopedico a Firenze nella chirurgia protesica maggiore di ginocchio e anca. Al suo fianco ho operato i miei primi casi e ho potuto aiutarlo in migliaia di interventi chirurgici complessi di protesi di ginocchio e protesi di anca.

La progressiva evoluzione della gestione medica del paziente operato

In quegli anni il mio lavoro era dedicato da una parte a prendere in mano la direzione della Chirurgia della Spalla diventando il referente del gruppo in questo ambito, dall’altra nell’apprendere l’arte della chirurgia protesica di anca e ginocchio accanto al dottor Andrea Baldini. L’evoluzione in questo campo, affiancata dalla continua esigenza di migliorare, mi portò a concentrarmi molto sulla cura del paziente a cavallo dell’intervento chirurgico con l’obiettivo di ottimizzarne il recupero e limitarne il trauma legato all’intervento. Tale ricerca comprese il moderno concetto di Fast Track o Rapid Recovery oggi molto attuali, ma allora trascurati da tutti.

La gestione avanzata del paziente: il congresso del dottor Andrea Baldini a Firenze

Tutta la ricerca culminò nel Maggio 2014 a Firenze con un congresso internazionale in cui dare le regole per il Fast Track o recupero rapido dopo chirurgia protesica. I principi moderni di recupero rapido per protesi di anca e protesi di ginocchio finalmente venivano discussi ed affrontati di fronte ad una platea autorevole per la prima volta in Italia.

Il percorso Fast Track del dottor Andrea Baldini Ortopedico presso Villa Ulivella – IFCA di Firenze

Il grande supporto del gruppo GIOMI presso la Clinica di Villa Ulivella IFCA di Firenze ha permesso di adottare una ad una tutte le più moderne metodiche di gestione del paziente operato di protesi. Inoltre ci ha permesso di portare a zero il tasso di trasfusioni, ridurre la degenza (il paziente torna ad essere autonomo nel cammino dopo 2-3 giorni dall’intervento), ridurre il dolore legato all’intervento, iniziare la fisioterapia poche ore dopo l’operazione e minimizzare le complicanze legate allo stare a letto a lungo dopo la chirurgia.

Ad oggi sono oltre 6 anni che attuiamo a Villa Ulivella IFCA di Firenze il protocollo di recupero rapido Fast Track per tutti i pazienti che si operano con noi e i risultati sono evidenti. L’entusiasmo è molto alto dato che riusciamo finalmente a rendere meno invalidante possibile una chirurgia senza dubbio maggiore di Ortopedia.

L’ordine dei medici ha ospitato un mio articolo che riassume tutte le grandi novità che abbiamo introdotto.

Al termine del percorso di formazione con il dottor Andrea Baldini sono diventato, all’interno del gruppo di Villa Ulivella IFCA di Firenze, il responsabile della chirurgia della Spalla e un riferimento per la chirurgia protesica di Anca e di Ginocchio. In questo tipo di chirurgia, dopo oltre 10 anni di attività, seguo tutte le più moderne tecniche di recupero rapido che rientrano nei concetti del Fast track e del Rapid Recovery.

Protesi di ginocchio e protesi di anca: il dottor Lorenzo Castellani parla del Fast track

 

 

Artrosi dell’anca e intervento chirurgico

Sembra strano ma l’artrosi dell’anca colpisce esattamente due attività quotidiane delle persone che ne soffrono: la libertà di raggiungere il piede per lavarsi o vestirsi e l’autonomia nel cammino. Quest’ultima viene persa a causa di un dolore all’inguine che limita molto le distanze che si riescono a percorrere a piedi.

Vediamo in questo articolo:

Quali persone soffrono di artrosi dell’anca

Generalmente si tratta di persone anziane che soffrono di artrosi per il consumo della cartilagine dovuto al passare degli anni. A volte si tratta invece di sportivi che dopo molti anni di attività con piccoli fastidi arrivano precocemente al dolore inguinale (vedi impingement femoro acetabolare). Altre volte sono persone di mezza età che senza motivo arrivano ad avere un dolore acuto all’inguine senza nessuna avvisaglia, all’improvviso: in questi casi la causa potrebbe essere un’osteonecrosi della testa del femore.

In altri casi a soffrire sono le persone a cui è stata diagnosticata una displasia dell’anca in età giovanile oppure che hanno subito interventi chirurgici per fratture.

Cosa significa artrosi dell’anca

Quale che sia la causa, il risultato finale è un consumo e una deformazione della testa femorale. Invece di essere una sfera in una coppa, l’articolazione diventa un giunto grippato, con perdita della sua forma normale e del suo rivestimento. Questa è l’artrosi.

Artrosi dell’anca: sintomi

I sintomi che colpiscono il paziente sono pima di tutto la perdita di elasticità nel movimento specialmente in rotazione. Si tratta di una difficoltà in particolare a raggiungere il piede nei comuni gesti dell’attività quotidiana come mettersi un calzino o raggiungere la punta del piede per tagliarsi le unghie o semplicemente fare fatica ad allacciarsi una scarpa.

Contemporaneamente o poco più tardi compare il dolore inguinale. Talvolta può essere scambiato per un dolore ginecologico o per un dolore da ernia inguinale nell’uomo. Poi diventa un dolore trafittivo più intenso che a volte fa zoppicare ai primi passi dopo essere stati a lungo fermi.

Coxartrosi o Artrosi dell’anca: quali cure

Nell’artrosi dell’anca la possibilità di cure conservative senza intervento chirurgico sono molteplici specialmente nelle fasi precoci di malattia.

Le cure principali consistono nel mantenere con la ginnastica la giusta elasticità del movimento. Conservare il tono muscolare con esercizi a basso impatto quali piscina, bicicletta, pilates, gyrotonic.

Si possono assumere integratori condroprotettori a base di glucosamina e codroitina. Si usano calzature morbide nel cammino.

Si possono eseguire infiltrazioni ecoguidate con acido jaluronico.

Intervento chirurgico: quando eseguire una protesi di anca

Quando il dolore diventa insopportabile e quando non si riesce più con la terapia conservativa a controllarlo, allora si può risolvere il problema dell’artrosi con una protesi totale di anca. Si tratta di un intervento chirugico con il quale si sostituisce l’articolazione malata con una protesi.

Protesi di anca: materiali

Molti pazienti mi chiedono come sono fatte le protesi di anca. Si tratta di materiali integranti come il titanio. Sono metalli porosi che favoriscono la crescita dell’osso al loro interno. Le due componenti principali sono una coppa e uno stelo. Tra di loro ci sono materiali molto duri e lisci che, nella maggior parte dei casi, sono una plastica dura (polietilene) e la ceramica.

Quali sono i rischi di una protesi di anca

Il rischio più temuto di fronte a qualsiasi operazione di protesi ortopedica è l’infezione. Sulla pelle noi ospitiamo dei batteri che con l’intervento possono entrare nel nostro organismo causando un’infezione periprotesica. Purtroppo se un batterio entra a contatto con il metallo crea una protezione detta glicocalice che rende inutili tutte le terapie antibiotiche e rende necessario un intervento per rimuovere la protesi.

Un secondo rischio è quello della lussazione della protesi. Si tratta infatti di una protesi che ha una forma di una sfera in una coppa. Come tale in caso di movimenti estremi può fuoriuscire dalla sua sede. Il rispetto di norme corrette antilussazione possono scongiurare questo rischio.

Quali sono i vantaggi di una protesi di anca

La protesi libera l’articolazione incarcerata dall’artrosi rendendola nuovamente mobile. Il movimento inoltre avviene mediante una superficie nuova, liscia e priva di recettori del dolore.

Quando operarsi di una protesi di anca

Quando dolore e limitazioni funzionali rendono difficile la vita quotidiana, la radiografia conferma un completo consumo dell’articolazione e le terapie conservative e infiltrative hanno dato un esito negativo, allora una protesi può risolvere il problema dell’artrosi dell’anca.

 

Mobilizzazione precoce: il segreto per recuperare velocemente dopo l’intervento di protesi

Per anni ci siamo interrogati su come fare ad ottenere un recupero più possibile rapido dopo un intervento chirurgico come la protesi di spalla, la protesi di anca o la protesi di ginocchio. Semplice: non bisogna fermarsi mai. Se non perdiamo la funzione, non dobbiamo poi preoccuparci di recuperarla. Vediamo come è possibile riuscirci con la mobilizzazione precoce.

Dopo un intervento di protesi bisogna stare a letto

Questa tradizione è tramandata da anni di ortopedico in ortopedico. Ma è vero che immobilizzarsi a letto aiuta a guarire più in fretta e meglio. La risposta è no. Questo è uno dei più grandi falsi miti esistenti in chirurgia ortopedica. Tutt’altro: tanto più ci blocchiamo, tanto più difficile sarà il recupero dopo l’intervento.

Il principio del mantenimento della funzione

Se rimaniamo funzionali dal giorno stesso dell’intervento non dovremo mai faticare per recuperare la funzione, dato che non l’abbiamo persa. Sembra banale, ma fare capire questo richiede una rivoluzione culturale. In sala operatoria noi testiamo il movimento al termine della chirurgia: la protesi di spalla di anca o di ginocchio funziona da subito per garantire il massimo della funzione. Allora perchè perdere quanto è già immediatamente acquisito in sala operatoria?

Il movimento riduce il rischio di trombosi venosa

Gli interventi maggiori di ortopedia come le protesi, hanno un rischio associato di sviluppare una patologia pericolosa detta trombosi. Si tratta della formazione di coaguli di sangue nelle vene. Una delle strategie più efficaci per riuscire a controllare questo rischio è la mobilizzazione precoce. Muovere le articolazioni significa fare circolare il sangue. Il sangue che circola non coagula nei vasi, quindi le trombosi non avvengono. Per questo nella nostra strategia preventiva le nostre protesi camminano poche ore dopo l’intervento, le protesi di spalla da subito rimuovono il tutore 3 volte al giorno per fare esercizi di mobilizzazione.

Il controllo del dolore è un fattore essenziale per la mobilizzazione precoce

Un requisito fondamentale per mobilizzare presto i pazienti consiste proprio nel non fare sentire il dolore dopo l’intervento. Nella nostra struttura seguiamo un protocollo Fast Track che ha come obiettivo il completo controllo del dolore con tecniche pre-operatorie, intra-operatorie e post operatorie. Tutto questo con un solo obiettivo: muovere subito per non perdere la funzione e per prevenire le complicanze in particolare la trombosi.

La mobilizzazione precoce ha solo vantaggi

Nonostante ci sia l’abitudine a mantenere fermi i pazienti dopo un intervento di protesi di ginocchio o una protesi di anca o una protesi di spalla, la letteratura moderna indica che in ogni caso esaminato la mobilizzazione precoce ha prodotto meno rischi per il paziente, un recupero rapido della funzione, un ridotto tasso di trombosi. In ognuno dei nostri interventi l’obiettivo resta sempre e comunque una mobilizzazione precoce per raggiungere prima il risultato.

Un protocollo multimodale per raggiungere l’obiettivo in sicurezza

Il risultato di una mobilizzazione precoce del paziente operato si ottiene solo se la preparazione del paziente è completa. La preparazione passa per tanti diversi fattori: la lezione pre-operatoria, il controllo del dolore, il controllo del sanguinamento e la presenza di stimoli efficaci per il paziente. Con tutto questo insieme l’obiettivo risulta facilmente raggiungibile a tutto vantaggio del recupero rapido secondo le tecniche di fast track che da tempo pratichiamo nella nostra struttura.

 

Bibliografia

Protesi senza dolore: si comincia prima dell’intervento

Quanto il dolore può influenzare i risultati dei nostri interventi? Davvero è solo la perfetta esecuzione dell’intervento a condizionare il risultato a distanza? Siamo certi che il progresso passi solo attraverso le nostre mani di chirurgo? Una protesi senza dolore è sicuramente il primo migliore passo per un recupero rapido dopo l’intervento.

Queste sono le tante domande che ci facciamo ogni giorno nel nostro modo di afforntare gli interventi chirurgici che eseguiamo sui nostri pazienti. In particolar modo gli interventi di protesi hanno bisogno di un controllo del dolore molto accurato per dare il risultato sperato.

Protesi senza dolore: quali sono i meccanismi in gioco

Il dolore innesca i suoi meccanismi nel momento stesso in cui l’intervento comincia. Il solo taglio dell’intervento provoca una reazione a catena di sostanze infiammatorie che trasmettono uno stimolo negativo al nostro cervello. Questo messaggio non viene ostacolato dalla semplice anestesia che ovviamente viene eseguita. Localmente i mediatori sono in grado di dare uno stimolo negativo anche se questo non arriva al cervello. Per questo si sono sviluppate strategie di blocco preventivo del dolore mediante una analgesia preventiva, detta “pre-emptive analgesia”.

Pre-emptive analgesia per il fast track dopo interventi di protesi

L’analgesia pre-operatoria per migliorare il recupero dopo interventi di protesi si basa su tre principali pilastri che bloccano il dolore ancora prima che l’insulto dell’intervento avvenga. Lo fanno su tre livelli diversi: sui recettori nervosi periferici, sul cervello, sulla liberazione locale di sostanze infiammatorie.

Analgesia preventiva negli interventi di protesi: il blocco dei nervi periferici

Esistono farmaci che sono nati per curare l’epilessia, ma che nella pratica clinica a dosaggio molto basso hanno mostrato di modulare l’attività nervosa periferica. Queste sostanze possono essere assunte preventivamente per “saldare i nervi” in modo che siano meno sensibili alla trasmissione del dolore.

Protesi che non causa dolore: uso di farmaci antidolorifici centrali

Il secondo livello di intervento è possibile proprio a livello del cervello per inibire all’origine la sensazione del dolore. Si usa un farmaco a basso effetto collaterale, noto come antipiretico a base di paracetamolo, per inibire in alto la sensazione di dolore.

Blocco dei fattori infiammatori a livello della ferita: pre-emptive analgesia antinfiammatoria

Ultimo livello di intervento è quello locale sui fattori infiammatori. Mentre nel passato non era possibile agire a questo livello in quanto si sarebbero alterati i fattori della coagulazione rendendo più facile il sanguinamento, la ricerca ci è venuta incontro. Attualmente esistono gli inibitori selettivi della COX 2 che bloccano l’infiammazione senza alterare la coagulazione.

Pre-empitve analgesia e fast track in chirurigia protesica: un elmo preventivo nei confronti del dolore

In conclusione il paziente ben preparato all’intervento di protesi parte con un netto vantaggio rispetto al paziente non preparato. Ha già un paracadute che lo protegge dal dolore. A tutto vantaggio non solo del fatto di avere un percorso meno problematico inizialmente, ma anche sicuramente un recupero a distanza molto più semplice.

In sostanza partire con poco dolore equivale ad avere aggirato il primo più grande ostacolo per il ritorno alla normalità.

Bibliografia

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